Camminata a san Cassiano
L’uomo che cammina
Questa proposta prende ispirazione da un piccolo testo di Christian Bobin (1951-2022) dal titolo “L’uomo che cammina”. Bobin è stato poeta e scrittore dai tratti precisi e delicati e nel parlarci ci racconta di Gesù, che non menziona, come di colui “che cammina”. L’esercizio del “camminare insieme”, che la riflessione della Chiesa ci invita a riprendere, si incontra così con la riflessione di Bobin che nell’uomo che cammina identifica i tratti stessi dell’abitare di Dio in mezzo a noi.
Ascolto
Cammina. Senza sosta cammina. Va qui e poi la. Trascorre la propria vita su circa sessanta chilometri di lunghezza, trenta di larghezza. E cammina. Senza sosta. Si direbbe che il riposo gli è vietato.
Quello che si sa di lui si deve a un libro. Se avessimo un orecchio un po’ più fine, potremmo fare a meno di quel libro e ricevere notizie su di lui ascoltando il canto dei granelli di sabbia, sollevati dai suoi piedi nudi. Nulla si riprende dal suo passaggio e il suo passaggio non conosce fine.
Sono dapprima in quattro a scrivere di lui. Quando scrivono hanno sessant’anni di ritardo sull’evento del suo passaggio. Noi ne abbiamo molti di più: duemila. Tutto quanto può essere detto su quest’uomo è in ritardo rispetto a lui. Conserva una falcata di vantaggio e la sua parola è come lui, incessantemente in movimento, senza fine nel movimento di dare tutto di se stessa. Duemila anni dopo di lui è come sessanta. E’ appena passato e i giardini di Israele fremono ancora per il suo passaggio, come dopo una bomba, onde infuocate di un soffio.
Se ne va a capo scoperto. La morte, il vento, l’ingiuria: tutto riceve in faccia, senza mai rallentare il passo. Si direbbe che ciò che lo tormenta è nulla rispetto a ciò che egli spera. Che la morte è nulla più di un vento di sabbia. Che vivere è come il suo cammino: senza fine.
L’umano è chi va così, a capo scoperto, nella ricerca mai interrotta di chi è più grande. E il primo venuto è più grande di noi: è una delle cose che dice quest’uomo. E’ l’unica cosa che cerca di inculcare nelle nostre teste grevi. Il primo venuto è più grande di noi: bisogna scandire ogni parola di questa frase e masticarla, rimasticarla. La verità la si mangia. Vedere l’altro nella sua nobiltà di solitudine, nella bellezza perduta dei suoi giorni. Guardarlo nel movimento del venire, nella fiducia in questa venuta. E’ quanto si sfianca di dirci, l’uomo che cammina: non guardate me. Guardate il primo venuto e basterà, e dovrebbe bastare.
Va dritto alla porta dell’umano. Aspetta che questa porta si apra. La porta dell’umano è il volto. Vedere faccia a faccia, da solo a solo, uno a uno. Nei campi di concentramento i nazisti proibivano ai deportati di guardarli negli occhi, sotto pena di morte immediata. Colui di cui non accolgo più il volto – e per accoglierlo bisogna che io lavi il mio volto da qualsiasi residuo di potenza – quello io lo svuoto della sua umanità e me ne svuoto io stesso.
Il primo salmo del salterio non è solo una apertura, che inizia con la lettera “Alef”; è il “canto delle due vie”. Ci mostra due cammini possibili e la via su cui camminare. Lo ascoltiamo nella traduzione di padre Davide Maria Turoldo.
Salmo 1
Alef. Apri, Signore, la mia bocca, la mia lingua apprenda a lodarti: di lettera in lettera dell’intero alfabeto canti dispiega, mio cuore, al Santo: nel nome di ogni creatura.
1 Beato l’uomo che dei perversi non batte le vie,
né dei maldicenti i ritrovi frequenta,
né siede nelle assemblee degli empi,
2 ma sua gioia è la Legge di Dio,
la Legge sua, che giorno e notte
mormora in cuore.
3 Egli sarà come un albero alto
piantato sulle rive del fiume,
che il frutto matura ad ogni stagione
e foglie non vede avvizzite:
a compimento egli porta ogni cosa.
4 Non così, non così degli empi:
pula dispersa dal vento!
5 Malvagi e perversi mai
siederanno a giudizio coi giusti, mai
avran parte all’assemblea dei santi:
6 è il Signore l’approdo degli uomini pii,
mentre gli empi svaniscon nel nulla.
Preghiera
Dio, misteriosa presenza nascosta in ogni creatura, ragione ultima del nostro cercare e sperare, Padre di Gesù Cristo, il nostro fratello più caro, il Giusto, nel quale hai rivelato la via della vita, donaci di saper accogliere la tua parola e di fare di tutta la nostra esistenza un canto; e di camminare senza soste lungo la strada che conduce al tuo volto e al tuo abbraccio. Amen.
Ascolto
Non parla per attirare su di sé un briciolo d’amore. Quello che vuole, non per sé lo vuole. Quello che vuole è che noi ci sopportiamo nel vivere insieme. Non dice: amatemi. Dice: amatevi. Un abisso tra queste due parole. Lui è da un lato dell’abisso e noi restiamo dall’altro. E’ forse l’unico uomo che abbia mai davvero parlato, spezzato i legami della parola e della seduzione, dell’amore e del lamento.
E’ un uomo che va dalla lode alla disaffezione e dalla disaffezione alla morte, sempre andando, camminando sempre. […]
[20] Dice di essere la verità. E’ la parola più umile che esista. L’orgoglio sarebbe dire: la verità, ce l’ho. La possiedo, l’ho messa nello scrigno di una formula. La verità non è una formula ma una presenza. Nulla è presente fuorché l’amore. La verità: egli lo è per il suo respiro, per la sua voce, per il suo modo amorevole di contraddire le leggi di gravità, senza farci caso.
Il fatto che milioni di uomini si siano nutriti del suo nome, che abbiano dipinto il suo volto e fatto risuonare la sua parola sotto cupole di marmo, tutto questo non provoca alcunché riguardo alla verità di quest’uomo. Non si può prestar credito alla sua parola sulla base della potenza che ne è storicamente scaturita: la sua parola è vera solo in quanto disarmata. La sua potenza è di esser privo di potenza, nudo, debole, povero: messo a nudo dal suo amore, reso debole dal suo amore. Questa è la figura del più grande re d’umanità, dell’unico sovrano che abbia chiamato i propri sudditi uno a uno, con la voce sommessa della nutrice. Il mondo non poteva sentirlo. Il mondo sente solo quando c’è un po’ di rumore o di potenza. L’amore è un re privo di potenza, dio è un uomo che cammina ben oltre il tramonto del giorno. […]
Alcuni si associano al suo lavoro. Con fatica li forma ai principi di una nuova economia: non si fa nulla in serie, si va dall’unico all’unico. Non si vende, si regala.
L’uomo che cammina non è solo colui che indica il sentiero, ma si fa anche compagno nel cammino: è questa l’esperienza che ci riporta il salmo 23. Il pastore non è solo la guida, è anche il compagno di viaggio per il quale le ore del gregge sono le sue ore, stessi i rischi, stessa la sete e la fame, identica la calura.
Salmo 23 (22)
1 Il Signore è il mio pastore:
nulla manca ad ogni attesa,
2 in verdissimi prati mi pasce,
mi disseta a placide acque.
3 È il ristoro dell’ anima mia,
in sentieri diritti mi guida
per amore del santo suo nome,
dietro lui mi sento sicuro.
4 Pur se andassi per valle oscura
non avrò a temere alcun male:
perché sempre mi sei vicino,
mi sostieni col tuo vincastro.
5 Quale mensa per me tu prepari
sotto gli occhi dei tuoi nemici !
Del tuo olio profumi il mio capo,
il mio calice è colmo di ebbrezza!
6 Bontà e grazia mi sono compagne
quanto dura il mio cammino:
io starò nella casa di Dio
lungo tutto il migrare dei giorni.
Preghiera
Gesù Cristo, pastore buono, che ti sei fatto nostro compagno di cammino: a causa delle nostre infedeltà non lasciarci mai soli, poiché ci perderemmo in aridi pascoli e ci smarriremmo nella valle oscura; ma continua a custodirci e a difenderci dai lupi; a nutrirci di cibi purissimi e a portarci tutti a libertà. Amen.
Ascolto
Pochissimi riescono a tenere il suo passo. Una manciata di uomini e alcune donne. Le donne hanno un vecchio legame coniugale con la fatica e il rifiuto della fatica. Verso la fine, annuncia che “la dove va” nessuno potrà seguirlo e che non si tratta di un abbandono, perché “la dove va” avrà la stessa costante benevolenza per ciascuno. Le società ci prendono per quantità, in blocco, in massa, a cifre. “La dove va” non potremo andarci diversamente da lui: solo – come a un appuntamento.
I quattro che descrivono il suo passaggio sostengono che, morto, si è rialzato dalla morte. E’ questo indubbiamente il punto di rottura: questa storia che ha molti tratti della luce serena d’Oriente, assume qui una dimensione incomparabile. O ci si separa da quest’uomo su questo punto, e si fa di lui un sapiente come ce ne sono stati migliaia, pronti magari ad accordargli un titolo di principe. Oppure lo si segue, e si è votati al silenzio, perché tutto ciò che si potrebbe dire è allora inudibile e folle. Inudibile perché folle. L’uomo che cammina è quel folle che pensa che si possa assaporare una vita così abbondante da inghiottire perfino la morte. Coloro che ne seguono le orme e credono che si possa restare eternamente vivi nella trasparenza di una parola d’amore, senza mai smarrire il respiro, costoro, nella misura in cui sentono quel che dicono, sono forzatamente considerati matti. Quello che sostengono è inaccettabile. La loro parola è folle e tuttavia cosa valgono altre parole, tutte le altre parole pronunciate dalla notte dei secoli? Cos’è parlare? Cos’è amare? Come credere e come non credere?
Forse non abbiamo mai avuto altra scelta che tra una parola folle e una parola vana.
La Parola di Dio
Matteo 28, 16-fine.
16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Riflessione.
Il canto finale è occasione di riprendere il legame con tutti quelli che ci hanno preceduti nel camminare insieme: nel linguaggio della Chiesa essi sono i “santi”, coloro che “hanno camminato sulla strada” in compagnia del Signore.
Camminiamo sulla strada
che han percorso i santi tuoi
tutti ci ritroveremo
dove eterno splende il sol.
E quando in ciel dei santi tuoi
la grande schiera arriverà.
O Signor come vorrei
che ci fosse un posto per me.
E quando il sol si spegnerà
E quando il sol si spegnerà,
O Signor come vorrei
che ci fosse un posto per me.
C’è chi dice che la vita
sia tristezza sia dolor,
ma io so che verrà il giorno
in cui tutto cambierà.
E quando in ciel risuonerà
la tromba che ci chiamerà,
o Signor come vorrei
che ci fosse un posto per me.
Il giorno che la terra e il ciel
a nuova vita risorgeran
o Signor come vorrei
che ci fosse un posto per me.